La musulmana spaventa i bambini, non serve più l'uomo nero, basta il burkini

mercoledì 19 agosto 2009

Quando a far paura basta una donna “vestita” che entra in piscina. Una volta i guai, con i carabinieri a controllare i centimetri, a passarli erano le signore che esibivano i primi bikini.Ora, a sollevare scandalo, è il “burkini”, il costume da bagno per le donne musulmane, tutto d’un pezzo dalla testa ai piedi.

È accaduto nei giorni scorsi a Verona, alla piscina comunale Santini, dove una donna s’è presentata con i propri figli, tre bambini, in piscina vestita col “burkini” e destando dapprima sorpresa, ma anche irritazione, da parte di qualche bagnante. Addirittura, alcune mamme sono andate a protestare con il povero direttore della piscina asserendo che «quella donna tutta vestita in piscina faceva paura ai loro figli». Tanto da costringere il direttore del centro natatorio, Christian Panzarini, a chiedere lumi al responsabile del settore di Palazzo Barbieri.

E così, visto che l’unica norma che vige per le piscine è quella dell’igiene, si è pensato bene di chiedere alla signora musulmana di cosa fosse composto quell’abito per verificare l’idoneità del tessuto all’uso in piscina. «Non abbiamo allontanato la signora dalla piscina – dicono i responsabili dell’impianto – anche perché non era la prima volta che veniva qui da noi con i figli. Le abbiano solo chiesto di farci sapere di che tessuto è fatto quel “burkini” per capire se è igienico e se si tratta realmente di un costume da bagno e non di normale abbigliamento. Attendiamo la risposta dalla signora anche via email prima di poterla far accedere nuovamente all’impianto».

Ma se è una questione di igiene, allora perché non fare un test a tutti quelli che entrano in piscina per vedere che non abbiano malattie della pelle? E poi, come ha dichiarato lo stesso direttore del Dipartimento di prevenzione dell’Ulss 20 di Verona, Massimo Valsecchi: «Non vedo problemi a entrare in acqua con tessuti di cotone, mute o altri materiali, il cloro è un battericida messo nelle piscine apposta per ucciderli e disinfettare».

«Per noi – assicura Federico Sboarina, assessore allo sport del Comune scaligero – non esiste alcun caso “burkini”. E non centra nulla l’Islam e il burka. Abbiamo semplicemente richiesto di certificare che quello è effettivamente un costume da bagno, costruito con i tessuti richiesti. Si tratta di un normale controllo che il direttore della piscina ha giustamente effettuato. Cosa che avrebbe fatto anche nel caso che a presentarsi in piscina con un costume, diciamo insolito, fosse stato un ragazzo cattolico, tradizionalista, padano. In piscina si va con il costume, e non importa poi come questo sia fatto, lungo o corto, fino alla testa o in due pezzi, ma che sia del materiale adatto per il bagno. Punto e basta. Perché è chiaro che uno non può tuffarsi dove fanno il bagno tutti con i pantaloni che porta ogni giorno, o con i jeans».

La storia del burkini è già esplosa nelle scorse settimane in Francia, dove si è verificato un caso simile nella piscina comunale di Emerainville, periferia di Parigi, con una donna col burkini che ha denunciato i gestori dell’impianto perché l’hanno allontana dalla struttura. E pensare, che nel 1825, fu Maria Carolina di Berry, moglie di Carlo Ferdinando di Bordone, a far gridare allo scandalo: prima bagnante della storia ad entrare in mare con un abito di lana pesante, calze e scarpe di vernice. Scandaloso perché le dame, a quei tempi, si facevano solo lambire dall’acqua dopo essere arrivate in carrozza sul bagnasciuga. Da allora, coste, spiagge, fiumi, insenature e piscine ne hanno viste di tutti i colori e di tutte le stoffe. Fino al “burkini”.

Via|ilmessaggero.it

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